Il sistema carcerario funziona?

Il sistema carcerario funziona?

di Lucrezia Caminiti

’è un principio che sintetizza la motivazione che ha portato, nel 2005, a far nascere un’associazione come Volare: “La persona va sempre ed in ogni caso rispettata”. Queste sono le parole che vanno a racchiudere la missione dell’Associazione che opera per rendere quanto più concreti e significativi il dovere civico di attuare lo scopo rieducativo della pena. L’obiettivo è essere un punto di riferimento, di sensibilizzazione e di informazione per la comunità civile riguardo i problemi morali, sociali e umani relativi alla giustizia e alla sicurezza. I volontari incontrano, ascoltano, accompagnano le persone ristrette nella la Casa Circondariale di Velletri e quelle in esecuzione penale esterna sul territorio, perché possano riscoprire la loro dignità di uomini.

grafiche ottobre 2022
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Abbiamo intervistato il Vicepresidente dell’Associazione Volare, Giorgio Innocenti, per farci raccontare la realtà del carcere di Velletri.

Vicepresidente com’è attualmente la situazione nel carcere di Velletri?
Dipende dalla struttura in cui si è detenuti. A Velletri è diverso vivere nel vecchio padiglione, aperto nel 1991 o nel nuovo, inaugurato nel 2012. La prima struttura è composta di quattro piani. Al piano terra e al primo piano vi sono locali utilizzati per il trattamento (ndr. il trattamento è l’insieme degli interventi tesi alla rieducazione), dall’area sanitaria e da tre sezioni più piccole: l’isolamento; quella destinata ai nuovi ingressi; una che accoglie quanti hanno patologie psichiatriche conclamate; la zona che ospita chi necessita di osservazione e un’ultima per persone con un regime detentivo speciale per questioni di giustizia. Negli altri tre piani sei sezioni ospitanti 52 detenuti ciascuna. Quattro sezioni sono destinate a detenuti cosiddetti comuni, le due al quarto piano invece sono dette precauzionali: ospitano chi bisogna separare dagli altri a causa della tipologia di reato, dell’appartenenza ad una categoria o di un comportamento inadeguato durante la detenzione. Il codice d’onore che vige tra i detenuti non fa sconti e complica ulteriormente la gestione di un penitenziario. Una delle due è destinata a reati di tipo sessuale. In ognuna di queste sezioni è presente un agente. Gran parte degli ospiti sono in attesa di giudizio e quindi non fruiscono del trattamento. Nel nuovo padiglione invece, viene messa in atto la sorveglianza dinamica: la video-sorveglianza da parte degli agenti che, da remoto, possono azionare blindati e cancellate e comunicare tramite interfono. Ciò permette ai detenuti, prevalentemente condannati in via definitiva, di muoversi all’interno della sezione per buona parte del giorno e di accedere più rapidamente alle attività trattamentali svolte al piano terra. Nondimeno anche la loro giornata risulta assai più povera di stimoli di quanto auspicabile. La maggiore libertà, unita alle poche attività, ha prodotto conflitti anche di grave entità.

grafiche ottobre 2022

Lei che vede da vicino questa realtà, come vivono i detenuti in carcere? Quale la loro routine e le loro preoccupazioni?
La loro giornata inizia la mattina, quando si apre il blindato. Molti, nel vecchio padiglione, passano gran parte della giornata in cella: 9mq dove dormono, fumano, cucinano, fanno i bisogni e guardano la TV due persone. Nel nuovo padiglione va un po’ meglio: si può passare più tempo negli spazi comuni, le celle sono da quattro, ma i letti a castello liberano spazio e c’è anche la doccia: una gran libertà non dover chiedere e aspettare per potersi lavare. La caratteristica del carcere è che quasi ogni attività va richiesta, autorizzata ed è subordinata alla disponibilità di un operatore per essere realizzata. Il termine che si usa per le richieste scritte è suggestivo: domandine. Tutto tende all’infantilizzazione, alla deresponsabilizzazione. Il paradosso è che che il carcere dovrebbe educare alla responsabilità delle proprie azioni persone che hanno infranto le leggi. Le attività trattamentali sono diverse ma coinvolgono pochi e senza un progetto organico. Una fortunata minoranza frequenta la scuola o lavora, ma in molti casi si tratta di lavoretti che hanno un senso solo nella comunità del carcere come lo “scrivano” o lo “spesino”.

Che attività svolgete per sostenere e aiutare il detenuto in carcere?
Incontriamo le persone ristrette, le ascoltiamo, le aiutano nello studio, conosciamo le famiglie e i loro problemi per rendere concreto il fine rieducativo della pena richiamato dalla Costituzione Italiana. Anche le attività di gruppo stanno riprendendo lentamente dopo lo stop dovuto alla pandemia. Oltre al consolidato laboratorio manuale e ai corsi di danza terapia, tra i nuovi progetti presentati all’area educativa, possiamo citare: Il profumo dei ricordi; Leggiamo; Dai diamanti non nasce niente in collaborazione con Liberation Prison Project. Al contempo è ripresa la distribuzione del vestiario nel Magazzino Lazzaria, sostenuto da benefattori del nostro territorio. Inoltre, siamo impegnati anche in attività di sostegno a chi sconta una pena sul territorio, nella comunità, con il progetto Poli di ascolto territoriali, avviato in collaborazione con l’Ufficio esecuzione penale esterna di Roma.

Parliamo di suicidi. Secondo lei le misure e i provvedimenti attuali sono sufficienti o restano solo sulla carta?
Il carcere è un luogo di sofferenza. Lo è per tutti, non solo per chi è recluso: lo testimonia il tasso di suicidi tra il personale di polizia penitenziaria che è circa il doppio di quello della popolazione generale. Nulla a che vedere con quello delle persone ristrette che è dodici o tredici volte superiore alla popolazione generale, ma sottolineo questo dato per affermare che il carcere è strutturalmente un generatore di sofferenza di cui il tasso dei suicidi è solo l’epifenomeno più eclatante. Gli interventi preventivi sono solo un palliativo se non si ristruttura il sistema.

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Cosa promuoverebbe o cambierebbe all’interno del sistema carcerario?
Più personale, specialmente nell’area trattamentale, aiuterebbe. Ma il punto è allargare la visuale dal sistema carcerario al sistema dell’esecuzione penale nel suo complesso, nell’ambito del quale il carcere sia solo una delle pene, possibilmente residuale. Quando necessaria, la detenzione va articolata con una progressiva esposizione agli stimoli sociali in cui il reato è stato commesso. Altrimenti non avremo nessuna chance di far tornare in libertà, a fine pena, una persona meno propensa a delinquere. Come non si insegna a nuotare lontano dall’acqua, non si insegna a vivere in società lontano da questa. Ogni detenuto ci costa 150 euro al giorno: aggiungendo un danno economico al reato per cui è punito. Le pene di comunità, alternative al carcere, costano meno e producono una recidiva sensibilmente più bassa tra quanti hanno potuto usufruirne.

Last Updated on 23 Ottobre 2022 by

Redazione

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