Lago Albano, misurare il calo idrico non basta

Lago Albano, misurare il calo idrico non basta

Di Emanuele Scigliuzzo

Che il Lago Albano stesse vivendo una crisi ambientale ormai da diversi anni, era palese sotto gli occhi di tutti. Il calo idrico, che da decenni va avanti imperterrito, anticipando le conseguenze dei cambiamenti climatici, accelerato da diversi fattori antropologici, sembra inarrestabile. Uno specchio lacustre malato, sofferente, ma in qualche modo abbandonato da chi invece, avrebbe dovuto prendersene cura. Abbiamo accolto con entusiasmo l’installazione del teleidrometro che servirà a monitorare, con la massima precisione, la temperatura e il continuo calare del livello dell’acqua, almeno finché non si farà qualcosa per invertire il trend. Ma non possiamo non dire che forse, si è arrivati a questo passaggio con qualche anno di ritardo. Serve prendersi cura di questo malato e cercare la giusta terapia per stabilizzarlo quanto più velocemente possibile. Monitorare già non è più sufficiente, serve la cura. Le soluzioni percorribili sono state più volte esaminate da volontari che per anni hanno misurato manualmente, con metodi forse meno precisi, ma certamente efficaci, l’aggravarsi della malattia e registrando numerosi dati.

Il teleidrometro è utile se i dati vengono messi a disposizione, il dubbio è che si darà seguito ad azioni per ridurre il consumo di acqua. Dopo 40 anni abbiamo tutto i dati che vogliamo. Noi abbiamo chiesto l’idrometro per misurare gli eventuali miglioramenti a seguito di azioni concrete. Se però si considerano come causa del problema solo i cambiamenti climatici, è il sintomo che non ci saranno iniziative per invertire la rotta” ci dice Roberto Salustri di Reseda onlus che da anni, si occupa del problema del lago.

Le cause lo abbiamo detto, non sono solo naturali, come la scarsità di pioggia che riempiva il lago o l’innalzamento delle temperature, ma soprattutto, sono dovute alla mano dell’uomo. L’aumento della popolazione sui castelli anche per la continua costruzione di unità abitative ha fatto crescere la richiesta di acqua, la scelta di coltivare alcuni prodotti agricoli che richiedono un enorme fabbisogno idrico, la cementificazione che impedisce all’acqua piovana di penetrare nel terreno per alimentare la falda sottostante, sono solo alcuni degli esempi che in questi anni, abbiamo continuato a riportare. Tra le cause della riduzione dello specchio lacustre sul territorio di Castel Gandolfo, potrebbe anche esserci però la rete fognaria realizzata diversi anni fa. A sollevare interrogativi, oltre al progetto, anche il materiale usato per la sua realizzazione. Non sarà questo ovviamente il problema principale del Lago, ma secondo Ettore Marrone, impegnato nella salvaguardia del Lago e tra i principali promotori del Contratto di Falda Lago per Albano, Nemi e per il Fiume Incastro, un manifesto di intenti sottoscritto da alcuni comuni, diversi enti responsabili e associazioni, potremmo essere difronte a un emissario che contribuisce a portare via acqua inutilmente e senza sosta. “Sono anni che ci impegniamo nel sensibilizzare gli enti preposti nel cercare e mettere in atto le soluzioni necessarie alla salvaguardia di questo delicato ecosistema, cosi come chiediamo da tempo la risoluzione a problemi concreti come quello della possibile perdita di acqua attraverso le fogne. La rete fognaria realizzata convoglia le acque nere che un tempo finivano dritte nel lago, motivo per cui la balneazione fu vietata, raccoglie l’acqua piovana (sprecandola anziché essere indirizzata verso il bacino), ma è anche alta la possibilità che la preziosa acque lacustre possa infiltrarsi in questo canale. La rete fognaria, ci ricorda Ettore Marrone, è stata costruita sotto il livello idrico, e questo, considerato il buco accertato nel diaframma del lago, comporta la fuoriuscita per caduta che confluisce negli scarichi. Inizialmente si pensava che il tubo della fogna, immaginando che fosse stato realizzato in PVC o polietilene, si infilasse in un canale che non aveva più la chiusura stagna necessaria tra il tubo e il canale stesso, una volta scoperta la verità, la prospettiva è cambiata. Occorre quindi, sostiene con convinzione Ettore Marrone, verificare questa ipotesi ed eventualmente porvi rimedio con urgenza, non è una perdita che possiamo permetterci. Il principale sospettato resta il raccordo tra il pozzetto e la galleria che esce sulla via Francigena, del diametro di 2,5 metri attraverso la quale defluisce la fogna mista. Considerato che apportare nuova acqua è difficoltoso, sebbene questo controllo possa sembrare dispendioso, il primo risparmio sarebbe farebbe fermare questa emorragia continua. Tra l’altro, ci spiega ancora Marrone, il calo idrico ha conseguenze su tutta la tenuta del costone del cratere. Con il ridursi della pressione dell’acqua, si abbassa anche la pressione che la stessa esercita sulle coste. La conseguenza potrebbe essere un numero maggiore di frane”. Invertire la rotta è ancora possibile, ma bisogna agire adesso.

Last Updated on 2 Ottobre 2023 by AutoreL

AutoreL

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

error: Tutti i diritti riservati