Giovanni Falcone, il giudice immortale

Giovanni Falcone, il giudice immortale

Lotta alla mafia. Il 23 maggio 1992 l’attentato che ha sconvolto l’Italia

Stridìo di squame, il mare tinto di sangue. Nella testa, le grida e i colori della “mattanza”, la pesca dei tonni che dalla notte dei tempi abbandonano l’Atlantico per rinnovare la “danza dell’amore” nelle acque dolci delle Egadi. Lo fanno per gli altri, per garantire la specie. Trovandoci, spesso, la morte. Amore e morte. A loro non si sfugge, neanche quando le cose giuste “si fanno per gli altri”. Pensava a questo Giovanni Falcone mentre decollava da Ciampino a bordo di un jet noleggiato dai servizi segreti, alle 15.57 del 23 maggio 1992. Già da un po’ era iniziato il suo ultimo giorno, ma non era ancora finito. Lo sapeva, il giudice, che seguire la verità lo avrebbe ucciso, però il richiamo era troppo forte. Come succedeva ai tonni. E come i tonni risaliva la corrente verso Favignana, per vedere la mattanza nella sua amatissima, pericolosissima Sicilia.

Era rischioso, certo, ma “chi ha paura – diceva il suo amico Paolo Borsellino – muore ogni giorno”. In realtà Falcone non è mai morto. A chi ha pensato di cancellarlo con 5 quintali di tritolo un’ora dopo, nei pressi dello svincolo di Capaci-Isola delle Femmine, la storia ha presentato un altro conto. Falcone è diventato immortale. Il suo ultimo giorno è stato il primo per tutti noi. Un primo giorno di coscienze inorridite, verità maleodoranti. Rabbia verso le istituzioni, tristezza. Come non se ne provava dai tempi di Aldo Moro, come si è impedito di far provare al Paese, quello stesso 9 maggio del ‘78 che ha restituito all’Italia il corpo dello statista ucciso dalle BR, per Peppino Impastato, giovanissimo giornalista assassinato dalla mafia e fatto credere suicida.

Da 31 anni, quel 23 maggio letteralmente esploso al chilometro 5 della A29 vicino Palermo si ripete all’infinito: a partire da allora, negare la mafia è diventato impossibile. Anche se lo Stato continua a morire al cospetto della criminalità, anche se la corruzione non smette di ingrassare i potenti e affamare gli onesti, da quel giorno molti occhi sono stati costretti a guardare, molte bocche a parlare, molte orecchie a sentire.

E per i criminali è iniziata la “caccia col fumo”, come dicono in gergo i magistrati riferendosi all’atto di stanare i latitanti arrestando “pesci piccoli”, bruciando cioè i legami con il territorio che gli danno protezione e sostentamento. Come fanno i cacciatori quando incendiano sterpaglie nel bosco per far uscire le prede allo scoperto: così è stato per Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro, tenuti al riparo da decenni di connivenza popolare.

Con l’attentato a Falcone la mafia si è palesata in tutta la sua bruttezza, a dispetto di ogni omertà e codardia. Gli italiani hanno iniziato a farci i conti per davvero. Paradossalmente, ci ha pensato lo Stato a tradire il giudice che si era conquistato la fiducia di Don Masino Buscetta, gola profonda di Cosa Nostra che ha raccontato la sacralità profana dei rituali di affiliazione, il presunto codice etico degli ‘uomini d’onore’ e la ferocia dei boss fedeli a Totò Riina. Nessuno può scommettere con certezza sul nome di chi, tra quanti sapevano dei suoi spostamenti, lo ha venduto ai carnefici. Ben prima di questo, Falcone è stato isolato, demansionato, allontanato dalle sue indagini, umiliato da una politica compiacente e ipocrita.

Oggi qualcuno tenta di riaprire la ferita del- l’oltraggio: dopo l’assoluzione di 3 carabinieri e di Marcello Dell’Utri, imputati nel processo trattativa Stato-mafia, e la prescrizione che ha graziato i boss Leoluca Bagarella e Antonino Cinà, è tornato alla ribalta il negazionismo sui rapporti tra cosche e vertici istituzionali, certificati da 5 sentenze precedenti e definitive. Quelli per cui il giudice Borsellino ha seguito la stessa sorte dell’amico Giovanni.

“Dove comanda la mafia, i posti di potere vengono dati ai cretini”, ci ha detto Falcone. Lasciandoci in eredità la consapevolezza, sugli altri e su noi stessi. Dopo Falcone, grazie a Falcone, sappiamo che il bene, come il male, è una scelta libera, individuale.

A ognuno la sua responsabilità.

Viviana Passalacqua

Last Updated on 23 Maggio 2023 by AutoreL

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