CIAMPINO TORNA AD ARBITRARE IN SERIE B: DAVIDE DI MARCO SI RACCONTA

CIAMPINO TORNA AD ARBITRARE IN SERIE B: DAVIDE DI MARCO SI RACCONTA

Sono stati diciotto anni di duro impegno e di faticoso lavoro, di passione e di sacrifici, ma alla fine, Davide Di Marco è riuscito a raggiungere un traguardo, arbitrare nella massima categoria nazionale (CAN) che comprende i campionati di serie A e di B, che non considera ancora un punto di arrivo, ma solo un nuovo punto di partenza. L’esordio è avvenuto con la partita del campionato cadetto Ternana – Sampdoria e Davide punta al prossimo step: calcare i campi della massima serie con il fischietto in mano. Lo abbiamo raggiunto nella sua sezione, quella di Ciampino, dalla quale sono già usciti arbitri per la massima serie, dove è cresciuto dal punto di vista arbitrale e umano e dove, ci ripete più volte, ha trovato una seconda famiglia.

Sono arrivato qui per caso e contrariato, avevo quindici anni e giocavo a calcio, ma non avevo una grande voglia di allenarmi. Attraverso un suo amico, quasi con l’inganno, mio padre mi fece venire qui per una lezione del corso che era già iniziato. Passai tutto il tempo all’ultimo posto aspettando solo che finisse. Poi è scoppiata la scintilla parlando con uno dei responsabili della sezione. Forse ho capito in quel momento l’importanza del ruolo dell’arbitro, o forse mi ha trascinato semplicemente la loro passione. Finì quel corso e iniziai ad arbitrare. Da allora non ho più smesso di praticare questo sport”. Una delle cose che mi ha sorpreso, parlando con Davide e lo staff della sezione AIA, è sentirli definire l’arbitraggio uno sport. E’ vero, dietro c’è una preparazione fisica costante curata nei minimi dettagli, però ho obiettato, lo sport è una competizione tra due avversari. E Davide ci ha risposto con una frase del suo designatore: “Noi siamo costantemente in competizione con l’errore. Il nostro obiettivo è scendere in campo e sbagliare il meno possibile. L’errore capiterà sempre, siamo persone umane, e per quanto facciamo del nostro meglio possiamo sbagliare. La cosa di cui non si deve mai dubitare però, è la buona fede. La prestazione della domenica dipende da come hai lavorato in settimana per preparare la gara, ma nonostante tutto, anche con il massimo impegno, lo sbaglio è sempre dietro l’angolo. Per fortuna oggi siamo supportati da tanta tecnologia e in campo non siamo mai soli”.

E una volta che ci si rende conto di aver sbagliato?

Quando non è possibile tornare indietro bisogna gestire la consapevolezza dell’errore commesso che dipende molto da come si è arrivati a sbagliare: se non hai fatto il massimo per essere nella migliore posizione possibile per valutare, psicologicamente è un po’ più penalizzante, altrimenti, in caso contrario, bisogna arrendersi al fatto che oggettivamente è un errore che una persona umana poteva commettere. Per fortuna oggi le telecamere sono tante e il margine per una valutazione sbagliata si è ridotto tantissimo”.

Ovviamente anche l’arbitraggio è cambiato nel tempo, “Prima le gare, soprattutto quelle nelle categorie dilettantistiche, si preparavano attraverso il passa parola tra arbitri e si cercava di arrivare in campo conoscendo le tattiche delle squadre e il comportamento dei singoli calciatori. Oggi abbiamo una piattaforma che ci supporta in questo e ci permette di lavorare in maniera più approfondita. Poi ci aiuta tanto guardare i video delle gare, ore e ore di filmati guardati anche di notte, per arrivare pronti a fischiare nel modo giusto. Il ruolo dell’arbitro, ci ricorda Davide, è quello di dare giustizia a una partita, di fare in modo che la gara si svolga regolarmente nell’interesse degli atleti in campo”.

Tutto questo però non è sempre compreso?

No, abbiamo un problema culturale verso il quale bisogna forse impegnarsi attraverso la sensibilizzazione. Un genitore che offende un giovane arbitro quindicenne dovrebbe rendersi conto che quel ragazzo è un coetaneo di suo figlio”.

Qual è il momento più bello legato alla tua carriera di arbitro?

Dal punto di vista umano sicuramente l’esordio in B perché erano presenti le persone più importanti della mia vita, i miei genitori e anche mia nonna. Dal punto di vista professionale la finale tra Lazio e Roma, chi vinceva si aggiudicava il campionato Under 16 regionale, era una gara importante. Un’altra bella esperienza è stata all’Allianz Stadium di Torino, una gara di serie A femminile in cui lo stadio ero gremito con oltre 38mila spettatori”.

Ti tremavano le gambe?

Sempre prima di ogni gara. Ma dopo pochi minuti dall’inizio dell’incontro non conta più se gli spalti sono pieni o il blasone delle società. Conta solo sbagliare il meno possibile: la paura più grande con cui fare i conti”.

Se ti dovessi trovare la tua squadra del cuore davanti riusciresti a essere imparziale?

Non rovinerei mai la mia carriera per fare un favoritismo ad una squadra. In questi 18 anni ho fatto tanti sacrifici per arrivare fino a qui. Non rovinerei mai tutto questo tradendo i miei principi per favorire una squadra”.

Rendere pubblici i colloqui della squadra arbitrale è un passo importante. Sei favorevole?

Sì perché questo può aiutare a far capire a tutti gli appassionati cosa succede veramente. Potrebbe essere questo un primo passo verso quella rivoluzione culturale che serve. Io non mi sentirei maggiormente sotto pressione, ma più sereno”.

Trentaduenne romano, ma di adozione ciampinese, Davide è un imprenditore, padre di famiglia, ma da oltre un decennio gira per i campi di tutta Italia per arbitrare e quando è a Roma, va a vedere le partite locali per seguire i ragazzi che arbitrano, ma anche per conoscere le piccole realtà. E in settimana lavora duramente per preparare la prossima gara. Il segreto ci ha confidato non esiste, “incastrare impegni lavorativi, familiari e dell’arbitraggio, che per me è una professione, è complicato, ma ne vale la pena perché questo sport, una volta che ci stai dentro ti travolge e coinvolge in modo unico”.

Che tipo di arbitro sei: prediligi estrarre cartellini o favorisci il dialogo con i calciatori?

I cartellini bisogna cercare di prevenirli. Parlare con i giocatori, sempre nel rispetto dei ruoli, aiuta tanto e riuscire a calmare un giocatore, magari dopo un fallo di gioco, contribuisce a mantenere sereno l’ambiente in campo”.

Ti manca il calcio giocato?

Tantissimo. Nella rappresentativa della nostra sezione ho sempre giocato con il numero 10, quest’anno vogliono escludermi dalla squadra osserva Davide tra i sorrisi generali dei presenti, ma io farò di tutto per continuare a giocare prosegue sempre sorridendo. Poi tornando serio conclude la sua risposta: Il nostro sport, quello dell’arbitro, credo sia bello quanto il calcio giocato, regala grandi emozioni”.

Lo sport è tra i pilastri fondamentali per costruire una società migliore attraverso i valori di cui è testimone e custode.

Ci sono società che puntano tanto su questo, altre sono più competitive, dipende dagli obiettivi, ma i giovani calciatori di oggi, futuri adulti protagonisti della società di domani, sono ragazzi sostanzialmente ragazzi corretti”.

di Emanuele Scigliuzzo

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Last Updated on 16 Settembre 2023 by Autore P

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