Sindacato Unsic sullo smart working: “un’esperienza che non deve andare totalmente dissipata”

Sindacato Unsic sullo smart working: “un’esperienza che non deve andare totalmente dissipata”

Dal 15 ottobre la maggior parte dei pubblici dipendenti, distribuiti in tutti i Comuni italiani, tornerà nei propri uffici dopo il largo uso dello smart working a causa della pandemia. Il ministro per la pubblica amministrazione, Renato Brunetta, ne ha fatto una sorta di crociata indicando nella regolarizzazione del contratto, nell’organizzazione del lavoro per obiettivi, nel monitoraggio dei risultati e nella verifica della soddisfazione dell’utente gli obiettivi, naturalmente condivisibili. Riconoscendo, però, un punto sensibile di non poco conto: la sostenibilità dei trasporti.

Fabio Martella

Se il cosiddetto ‘lavoro agile’, nella fase pre-Covid, veniva indicato come un’opportunità per il futuro, il post-pandemia rischia di riportare indietro le lancette dell’orologio: la regola deve essere la presenza, ammoniscono ora dal ministero.

Sui pro e i contro del lavoro da remoto si discute molto, con argomentazioni in genere apprezzabili per entrambi i fronti. In termini aziendali molto dipende dall’efficienza dei processi produttivi, dalla capacità gestionali da parte dei manager e dalla responsabilità individuale dei lavoratori: se un professionista è tale in una sede istituzionale, lo sarà anche – e forse di più – da remoto. Sul piano sociale, lo scontro è tra gli aspetti negativi per il tessuto commerciale intorno alle sedi di lavoro (minori incassi per bar, ristoranti, tabaccai, ecc.), ma positivi sul fronte ambientale grazie ai minori spostamenti e all’abbattimento dei consumi energetici o idrici delle sedi fisiche di lavoro.

Secondo noi è importante non vanificare l’esperienza di questi mesi, che comunque ha offerto segnali interessanti. Pertanto una strada condivisibile può essere quella del lavoro ibrido, cioè la coesistenza – e non la contrapposizione – tra lavoro in presenza e da remoto per cumulare i vantaggi delle due modalità.

È la proposta avanzata, tra gli altri, dal presidente dell’Inapp Sebastiano Fadda, il quale in un’intervista a PA Magazine sostiene che “non servono camicie di forza per il lavoro agile, ma occorre ristrutturare i processi produttivi in modo da catturare i vantaggi di una combinazione ottimale tra fasi del lavoro svolte in presenza e fasi svolte da remoto: la sfida particolare per la pubblica amministrazione è quella della padronanza delle nuove tecnologie sia da parte dei manager sia da parte dei dipendenti”.

Giustamente Fadda indica la strada dello sviluppo di nuove competenze, in particolare su manager in grado di pianificare e riorganizzare organicamente anche nella pubblica amministrazione le fasi dei processi e le procedure operative, i tempi, gli ambienti per il lavoro in presenza individuale e di gruppo, le modalità di leadership, le relazioni interpersonali con e tra i dipendenti, il monitoraggio e il controllo dei risultati. Un modello, in sostanza, analogo a quello dell’impresa privata che funziona”.

È quanto scrive, in una nota, Domenico Mamone, presidente dell’Unsic, organizzazione datoriale con oltre tremila sedi – tra Caf, patronati, Caa, ecc. – in tutta Italia.

Last Updated on 28 Settembre 2021 by

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Redazione

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