Fuori dal campo, ma dentro la partita: gli assistenti arbitrali

Fuori dal campo, ma dentro la partita: gli assistenti arbitrali

Compongono insieme all’arbitro la terna arbitrale e ricoprono un ruolo indispensabile e insostituibile non solo per le chiamate del fuorigioco. Sono un supporto valido e rappresentano un punto di osservazione del quale l’arbitro non può fare a meno.

Di Emanuele Scigliuzzo

Corrono ai bordi del campo con una bandierina in mano e aiutano l’arbitro a prendere decisioni importanti. Erroneamente chiamati guardalinee, il loro nome tecnico corretto è assistenti arbitrali: sono di supporto al capo della terna e costituiscono un punto di vista diverso, una prospettiva laterale, indispensabile, non solo quando si tratta di valutare un fuorigioco.

Già il fuorigioco, quella posizione che per pochi millimetri può decidere il risultato di una partita, una valutazione che può determinare la vittoria di una competizione, piuttosto che l’infrangersi di un sogno per molti atleti. Certo dal divano può sembrare semplice, soprattutto quando rivediamo il replay, quando siamo liberi da ogni responsabilità o ancor di più quando i moderni mezzi tracciano una line virtuale per stabilire se la punta, il tallone o un capello era oltre il penultimo difendente, perché l’ultimo è sempre il portiere che conta eccome.

Ma fare questa valutazione dal vivo, assumendosene la responsabilità, stando con i piedi sulla calce che delimita il campo di gioco, con solo pochi millesimi di secondo a disposizione, beh, allora è tutt’altra cosa. Soprattutto in uno stadio caldo per un tifo acceso quando “sentire” il pallone partire è difficilissimo.

Già, perché non puoi guardare la linea e il pallone contemporaneamente, e allora il segreto è ascoltare l’impatto dello scarpino sulla palla e tenere la posizione fronte campo e non laterale, in linea e non dietro o avanti i giocatori, e sempre pronti a sprintare con loro. E quando fanno una chiamata giusta per pochi millimetri, è tutto merito della competenza tecnica, ma anche dell’esperienza. Eppure, il loro già complicato incarico non finisce lì. Negli anni queste figure sono state responsabilizzate anche nel chiamare falli, in assenza del quarto uomo tenere a bada le panchine, e altri compiti individuati nei raduni e nelle linee guida che costituiscono il verbo del loro agire.

Per capire come si diventa assistenti arbitrali e i loro segreti siamo tornati nella sede AIA (Associazione
Italiana Arbitri) di Ciampino e abbiamo incontrato Mattia Bartolomucci, che a giugno ha lasciato l’attività
per raggiunto limite di permanenza nella serie C, e Beatrice Neroni, assistente di vertice di questa sezione
appena approdata alla serie D.

Mattia, banchiere di professione con un’esperienza di 14 anni, ci spiega che “Non si sceglie di essere assistente arbitrale. Chi oggi ricopre questo ruolo è un ex arbitro che ha capito che le sue attitudini non gli avrebbero permesso di crescere a grandi livelli. E allora si rilancia in questa nuova veste che rappresenta una nuova opportunità per raccogliere grandi soddisfazioni. Grazie a questa scelta, per certi versi difficile, ma che rifarei senza esitare, sono arrivato in stadi come il Barbera o il San Nicola”.

Beatrice invece, educatrice di asilo nido e insegnante di ginnastica artistica e da 11 anni nel mondo degli
arbitri, ci spiega quanto sia importante per un assistente “Essere versatile e saper supportare, secondo il suo metro, l’arbitro che cambia ad ogni partita. Attraverso dei segni visivi troviamo in campo l’intesa giusta e con l’esperienza maturata riusciamo a migliorare tecnicamente, ma anche nel coadiuvare in modo adeguato il capo della terna arbitrale”. “Per prepararsi ad ogni partita, riprende Mattia, si studiano le tattiche delle squadre, le loro caratteristiche e quelle dei singoli. Per non sbagliare la nostra prestazione e rimanere sorpresi, dobbiamo sapere se i laterali saranno veloci, al centro del gioco e chiamati in causa con lanci frequenti”. “Per farci trovare pronti fisicamente invece, ci dice Beatrice che è una Ciampinese Doc, ci alleniamo con i nostri preparatori in modo specifico nella corsa laterale che ci aiuta a muoverci rapidamente guardando il campo e ottenendo così il miglior campo visivo possibile”. “Essere assistenti o arbitri, sostiene Mattia, ti fa crescere dal punto di vista personale, vedi lo sport in modo diverso. Lealtà, serietà e responsabilità entrano a far parte del tuo DNA, per questo è impensabile parlare di ‘calcio truccato’. Il nostro ruolo poi, ti aiuta ancor di più a saper sostenere la pressione anche nella vita”.

Beatrice, che appare invece come una ragazza più riservata e timida, ma che diventa raggiante quando parla del suo ruolo, in campo si trasforma e diventa una leonessa: “Non ho paura di dover alzare la bandierina e fare una segnalazione. So bene quali sono le linee guida, mi attengo alle indicazioni dell’arbitro e so benissimo che devo mantenere la concentrazione al massimo per tutta la partita perché le segnalazioni devono essere sicure al 100%”. Beatrice quindi ci spiega come essere donna in questo mondo non è sempre facile, ma oggi, anche attraverso il calcio femminile, sta crescendo anche il livello delle donne arbitro e assistenti.

Siamo tante, siamo agguerrite e non possiamo sbagliare. Non avere un background come calciatrici ci
penalizza, per questo cerchiamo di lavorare più degli uomini e ci sono progetti della federazione pensati
proprio per aumentare questa crescita. Non posso immaginare una vita senza essere protagonista in questo sport, anche se sento la responsabilità della nuova categoria e mi chiedo se sarò in grado di fare il salto nella prossima, quando sarà il momento. Intanto mi godo questa opportunità e penso già alla prossima gara
”.

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Last Updated on 20 Novembre 2023 by Autore CH

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